martedì 13 marzo 2012

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Come fa la gente a vivere?

Io le vedo, le persone. Ok, i ragazzini ancora non sanno, per loro il tempo è il presente, ci vivono dentro, possono essere disperati o felici, ma dipende solo dalle contingenze al di fuori. Fuori dalla loro testa.

(E non è sempre vero, neppure per loro, neppure qui dove non devi scappare davanti a sconosciuti col machete, o raccogliere i pezzi dei cadaveri dei tuoi genitori, o vedere la tua pancia diventare gonfia e le tue braccia sottili, o morire piano piano di cose strane che ti divorano da dentro, che ti mangiano gli occhi, il fegato, il sangue. Anche nel nostro regno di ladri dai capelli biondi e gli occhi azzurri, anche qui i bambini possono essere feriti a morte, pur con la pancia piena e il telefonino in tasca. Uccisi con le pretese, con le finzioni d'affetto, con il fottuto potere dei deboli sui più deboli. Ma è meno frequente.)

Ma la gente, gli adulti, i vecchi, come fanno a vivere? Non solo a sopportare di vivere, chè per non farlo devi scegliere, mentre invece per farlo basta rimandare la scelta, ma a trovarlo tollerabile, perfino piacevole, a volte?

Io li vedo sorridere, magari in gruppo (e può essere un semplice lubrificante sociale, non dico di no), ma anche da soli, a volte. Li vedo passeggiare, e sembrano sereni. Li vedo fare cose che sembrano dar loro soddisfazione. Cose _inutili_. Cioè, non inutili per loro in quel momento, ma irrilevanti, dimenticabili, in alcun modo significative. Vero, lo so, basta accontentarsi. Avere standard bassi, basse pretese. Accettare di essere nessuno fra miliardi, accettare che tutto ciò che lasci è un necrologio su un quotidiano e due parole da un coglione di parroco che non ti ha neppure mai visto. O magari accontentarsi di essere il secondo più bravo a briscola nel tuo solito bar.

Non è neppure questo, quel che non capisco. Questo è vivere, il vivere normale, il prendere atto della realtà. Non dico che mi piaccia, non dico di riuscirci, o almeno non con facilità, ma lo posso capire.

Quello che davvero non capisco è come la gente gestisca i ricordi.

Come la gente possa vivere ricordando l'odore della crema abbronzante al cocco che la nonna gli spalmava addosso sulla spiaggia di Caorle, quando era bambino. Come si possa far smettere di urlare nella propria testa il profumo del grasso per ungere la sella, che ti porta ad una persona che non sei più. Come si possa addomesticare, o dimenticare, il nano di gomma con cui giocavi nelle grotte fatte di neve, a dieci anni. Come si possa vivere con tutti quei te stesso che non sei più, e che al minimo pretesto ti si accavallano nella mente, piantano chiodi nei tuoi pensieri, sparpagliano quel che tu sei ora nel tempo passato.
Sono solo io, che ho tutti questi me stesso morti e urlanti nella mia testa? Sono solo io che piango se vedo un cielo d'ottobre a maggio, se sento il profumo della pioggia sulla polvere d'estate, se vedo cadere la neve e la vedo diversa eppure uguale, la _sento_ diversa e so che è la stessa?

Io non so come la gente faccia a vivere. Magari fingono, tutti quanti. Magari sono bravi a sorridere, e poi, nel chiuso delle loro stanze, piangono fino a finire le lacrime. O magari si addormentano al suono rassicurante di un migliaio di frasi fatte, si addormentano dimenticandosi di vivere. E di aver vissuto.
Ma c'è un mondo attorno. Un mondo che puzza orribilmente di ricordi, di cose fatte, giuste e sbagliate, di tempi che non tornano e che il fottuto caprifoglio ti fa rivivere, per un attimo. Un mondo attorcigliato, incasinato, fluido, che scorre e colpisce, alla schiena perlopiù, un mondo in cui io sono io ma anche altri, altri di cui non ho quasi più il ricordo e che però non stanno quieti come il fango sul fondo dello stagno, ma intorbidano l'acqua, tanto che non so più dove andare. Un mondo che diventa sempre più brutto, ma non perde occasione per mostrarti fotografie virate al seppia di quando tutto era diverso, e tu eri tu eppure non ricordi i tuoi pensieri di allora, eri tu ma era anche un altro, molti altri, che abitavano nella tua testa.

E allora sto fermo. Aspetto che finisca. Senza radici, senza germogli. Basta un alito di vento...

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