martedì 13 marzo 2012

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Una volta sono stato a Genova. Per via dell'acquario, ma non era esattamente la giornata giusta. Quando le persone superano il terzo strato da terra, tipo che tu sei la pastafrolla alla base e non ti riesce di capire quanto generosa sia stata la cuoca sopra di te, tendo a sentirmi a disagio. Perciò mi sono scusato con tutti, e sono andato invece a far due passi nei vicoletti, lì vicino al mare.

Non è stato bello. Tutte queste case grigie, cinque, sei piani, e se guardi in alto si chiudono, tanto che i piccioni possono beccarsi da una grondaia all'altra, tanto che uno sperduto raggio di sole non troverebbe mai la strada per intrufolarsi lì in mezzo. Nè si capisce perchè lo vorrebbe fare.

Angoli, traverse, ogni dieci metri, tutte uguali, tutte grigie. L'uno accanto all'altro negozietti, bar, e gente. Gente ferma, appoggiata ai muri, gente di ogni sfumatura di colore, e tutti con quella postura che dice "sono disperato, ma non lo ammetterò mai". Con la postura aggressiva di chi non ti vuole aggredire, vuole solo dire che c'è anche lui, che esiste, anche se non lo vedi e non lo rivedrai mai più.

Io non ho mai visto i parcheggi di camper americani, li ho solo letti sui libri, ma il concetto mi pare simile. Cose che sono state progettate per viaggiare, e che sono ferme su quattro mattoni, da, beh, da fin quasi l'inizio della loro esistenza. Sembrano potersi muovere, ma loro sanno, e tu sai, che non si muoveranno mai più. Però _sembrano_ potersi muovere, e magari tanto basta a portare i giorni a sera. Dignità simulata, spalle larghe, e occhi vuoti.

In mezzo a tutto ciò, ho alzato lo sguardo, per caso. Sull'angolo in alto di una casa, una casa non meno triste delle altre (e di più sarebbe stato difficile), appena sotto la grondaia, c'era un mascherone. Un volto grottesco di pietra, appeso lì senza alcun senso apparente.

E mi è caduta addosso una tristezza infinita.

Il pensiero di qualcuno che _grida_ "io ci sono, ci sono perchè la mia casa è diversa, è migliore, è, cazzo, decorata", il pensiero di qualcuno che pensa di aver lasciato un qualche segno nel mondo perchè ha fatto qualcosa di brutto, assurdo, e completamente inutile, il pensiero di qualcuno che nessuno ricorda, ma che con il suo gesto futile pensava di poter essere _diverso_, mi ha messo una disperazione addosso con cui neppure il vaso di geranei morti (sul davanzale di due case dopo) poteva competere.

Essere nessuno, non lasciare segno, e non potersene fare una ragione.

La tristezza è una cosa, la disperazione è un'altra. E la disperazione a cui non ti rassegni, e di cui a volte neppure ti accorgi, è la cosa davvero più orribile.

Questo per le piccole cose.

Un po' sopra Bolzano, verso Nova Ponente. Imbocchi la val D'Ega. Una forra di pietra marrone, stretta. Un utero angoloso, fatto di spigoli cattivi, di svolte assurde, di linee spezzate. E sali.

Quando la roccia finisce, comincia la foresta. Su entrambi i lati, quasi verticale. Abeti severi, vecchi, scuri, neppure ostili, indifferenti. Due battaglioni di veterani che si guardano, stanchi e truci, e il gelido torrente che tintinna in mezzo. Come un confine. E sali.

E le rocce che spuntano dovunque nel bosco. A ricordarti che le ossa della terra sono poco profonde, lì, e che il verde imbronciato che vedi è una concessione fatta di malavoglia. Pietra dal cuore avaro. E sali.

E poi, dopo l'ultima curva, il mondo _si apre_.

Prati di sole, fin dove arriva l'occhio, un mare, un mare verde, dev'essere un mare perchè non c'è niente altro al mondo di così grande, terra profonda, dossi e colline, steccati di legno grezzo, qualche scoglio verde scuro d'abete, verde pallido di larice, verde rossiccio di acero, una manciata di fiori gialli di soffione che portano il sole a terra. Ma soprattutto i prati, e poi ancora i prati, e non c'è altro attorno. Sì, lontane, basse, bianche, le montagne che fan corona, che ti dicono che il mondo non è infinito. Che c'è un limite. Ma, dio, così lontano che non conta nulla. E sopra a tutto questo, il sole che si rovescia come una cascata sui soffioni, e sul mondo.

E in quel momento, e per un momento, il tuo cuore si apre, si spalancano le tue ali, e voli. Davvero.

E questo era per le stelle.

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