Le ali della notte. Forse ne ho già parlato. Ma le penne
hanno uncini, barbigli, che le legano fra loro, in modo che non possano
frusciare, in modo che l’assassino sia perfettamente silenzioso. A seconda del
punto di vista, meraviglia o terrore.
Neve. Neve vecchia, poca, e gelata, sulla brughiera, nella
notte di luna. Corri, e le ali della notte ti arrivano addosso, da dietro. L’artiglio,
il destro, ti pianta le sue tre unghie nella schiena. Quella centrale entra
appena a destra della spina dorsale, poco sopra le anche. L’altra unghia, di
destra, ti sbaglia di poco un rene, quella di sinistra ti centra l’altro. E poi
su, vieni strappato, urlante, dal mondo. Ma per poco, perché le ali ti lasciano
quasi subito. Ti lasciano schiantarti sulle rocce. Le costole si frantumano con
un rumore di pop corn, e le ali ritornano, una zampa nella schiena, l’altra
nella spalla. Unghie piantate profonde. E il becco ti rompe il collo.
E adesso dimmi, nel minuto o giù di lì che passa prima che
il tuo cervello si spenga, dov’era il senso? Dove il significato? In altri
termini, perché correvi?