venerdì 31 agosto 2012

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Le ali della notte. Forse ne ho già parlato. Ma le penne hanno uncini, barbigli, che le legano fra loro, in modo che non possano frusciare, in modo che l’assassino sia perfettamente silenzioso. A seconda del punto di vista, meraviglia o terrore.

Neve. Neve vecchia, poca, e gelata, sulla brughiera, nella notte di luna. Corri, e le ali della notte ti arrivano addosso, da dietro. L’artiglio, il destro, ti pianta le sue tre unghie nella schiena. Quella centrale entra appena a destra della spina dorsale, poco sopra le anche. L’altra unghia, di destra, ti sbaglia di poco un rene, quella di sinistra ti centra l’altro. E poi su, vieni strappato, urlante, dal mondo. Ma per poco, perché le ali ti lasciano quasi subito. Ti lasciano schiantarti sulle rocce. Le costole si frantumano con un rumore di pop corn, e le ali ritornano, una zampa nella schiena, l’altra nella spalla. Unghie piantate profonde. E il becco ti rompe il collo.

E adesso dimmi, nel minuto o giù di lì che passa prima che il tuo cervello si spenga, dov’era il senso? Dove il significato? In altri termini, perché correvi?

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