Perché non è un viaggio. La vita non è un viaggio, un
percorso attraverso le cose, un divenire e un far divenire. Non è passare fra
terre o persone, non è accumulare ricordi e conoscenze, non è cambiare mano a
mano, non è diventare migliori, o peggiori, o anche solo diversi. La vita non è
qualcosa che succede attraversando il tempo. E’ sbattere le ali contro un
vetro, è la corsa di un criceto sulla ruota. La vita è qualcosa che tu pensi
succeda fuori, ma sei tu che la pensi fuori. Sei tu che pensi. Sei sempre fermo
nello stesso fottuto punto, sei lì fermo, dentro i confini della tua testa, del
tuo cervello, ti pensi grande, piccolo,
uguale, diverso, ti pensi correre o restare, ti pensi nel bosco a primavera o
nei viali d’autunno, ma è sempre la
stessa roba, sempre lo stesso crepitio , oddio, bisbiglio, fra quel pugno di
neuroni. Tutto succede in una stanza chiusa. Una stanza dove non c’è tempo, né colori,
né profumi. La vita è una stanza chiusa, senza finestre, e il gioco è
inventarsi il tempo che passa fingendo che le pareti non siano bianche, bianche
come le ossa della scatola cranica. La vita, in sostanza, è una bugia che ci
raccontiamo per cancellare la claustrofobia dell’essere rinchiusi,
inevitabilmente, immodificabilmente, fra le pareti della nostra testa. La vita
è claustrofobia negata, ecco cos’è. E ogni giorno è uguale, perché non ci sono,
i giorni.
E però, epperò, il vento. Non tanto, non solo il profumo del vento, ma
la sua forza, quella che apre e divide la penne sulla punta delle ali, la forza
che ti permette di giostrare, di girare… Ohi, si vola poco, dentro i confini di
un cranio. Ma quel poco, magari, basta. Basta ad imbrogliarsi.
Le senti? Le senti le
penne, come frusciano nel vento?
Beh, non è vero. Non frusciano, e non c’è il vento, e non ci
sono i giorni. E’ tutto grigio e fermo, e poi raccontatela, se vuoi. Lì nella
scatola. L’importante è accontentarsi, dicono.
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